E’ indubbio che cent’anni di storia siano tanti, ma le trasformazioni e le profonde mutazioni generate dal Novecento ci fanno apparire il XX come un secolo breve, intenso, e pieno di cambiamenti epocali.
In ogni caso è un secolo in cui il centro si sposta definitivamente dal Mediterraneo all’Atlantico e poi dall’Atlantico al Pacifico per poi non avere un centro unico: nasce il cosmopolitismo.
La fine del secolo ripropone il Mediterraneo come punto nevralgico e segna l’irrigidimento dei confini che spesso vengono delimitati da “muri” o barriere, costituite sulla base di un nuovo ordine internazionale che spesso non è in sintonia con il senso di cittadinanza europea delle persone.
Per approfondire, guarda l’intervista a Bruna Bianchi:
Culture di guerra e culture di pace
L’Europa periferica
L’atto finale della Belle Époque
L’Europa di Gabriele Galantara, illustratore principe del settimanale satirico “L’Asino”, sembra uscire dall’Ottocento, anche se deformata e stravolta: imperatori, re, principi, sovrani grandi e piccoli compongono un teatrino dove sembra che l’odiatissimo Kaiser Guglielmo II possa impadronirsi, in un delirio di onnipotenza, del mondo intero. In realtà la transizione da guerra europea a guerra mondiale certifica la perdita di centralità dell’Europa.
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La guerra non è più un vento eccezionale, segna il vissuto di un secolo, anche nei momenti di pace, innalza la conflittualità, sposta e rende planetario il conflitto. Il risultato è una “guerra senza fine” o almeno la sensazione che dalla guerra no si esca mai per davvero.
Leggi l’approfondimento:
Aver condiviso esperienze, aver vissuto insieme la paura, il freddo, il cibo, il tempo. L’esperienza della prima guerra mondiale e la sua memoria diventano uno dei veicoli in cui si costruisce un sentimento condiviso, fatto di emozioni comuni.
Un’esperienza che dà senso e contenuto alle parole.

Nell’ultimo secolo sono cambiate molte cose (la posta in gioco, i combattenti, lo spazio in cui si combatte, i linguaggi,..) e tuttavia questo non elimina il fatto che il nostro presente sia figlio di una lunga e profonda trasformazione che ha le sue origini e i suoi primi elementi proprio in quello scenario sconvolto di cento anni fa. Un vento che ha dato inizio a un fenomeno come quello dei reduci, più spesso dei feriti o degli invalidi di guerra, più spesso psichici, piuttosto che fisici., una condizione che non concede più spazi per sottrarsi e che al tempo stesso immette a quel processo di globalizzazione economica in cui siamo oggi immersi.
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