Quali sono i mutamenti all’origine delle trasformazioni della democrazia rappresentativa? Perché sempre più persone non si sentono rappresentate? La frammentazione e la precarizzazione del lavoro hanno influito sulla costruzione delle identità e sull’organizzazione dell’azione collettiva.
Rappresentare domande e interessi così frammentati è sempre più difficile per i corpi intermedi, partiti e sindacati, che in passato innervavano le società e che hanno subìto essi stessi un processo di trasformazione profonda. I partiti sono stati spesso visti come l’incarnazione organizzata di una fazione che si contende con altre lo spazio politico, a rischio di far prevalere gli interessi di parte su quelli collettivi.
Eppure, nell’esperienza della democrazia rappresentativa moderna, il partito politico è stato l’anello intermedio tra il cittadino e lo Stato: uno strumento di partecipazione alla cosa pubblica. Negli ultimi decenni, con la società, sono cambiati molto anche i partiti. Assumendo sempre più il ruolo di club elettorali privi di una caratterizzazione ideologica ma con la vocazione a divenire “partiti pigliatutto”, che si propongono di incrociare un consenso volatile in fase di campagna elettorale.
Il loro ruolo di cerniera e filtro tra le istituzioni dello Stato e la società è entrato in crisi. Questo processo ha contribuito a far crescere l’insoddisfazione dei cittadini verso la politica, a minare la legittimità del sistema politico e pone una sfida cruciale per la stessa democrazia rappresentativa.
I partiti si svuotano della partecipazione dei cittadini alleggerendo la loro presenza sui territori e nei luoghi di lavoro e per contro tendono a spostare il baricentro delle loro attività nelle istituzioni. Ma questo processo viene avvertito come un arroccarsi nel Palazzo. Contemporaneamente, la diffusione di internet e delle nuove tecnologie dà l’illusione di poter intervenire direttamente sulle decisioni pubbliche, saltando le consuete mediazioni.
Nadia Urbinati ci racconta quali sono i mutamenti all’origine della democrazia rappresentativa.
Il tema della crisi della rappresentanza investe tanto il campo della politica quanto quello degli interessi organizzati e del lavoro. Ma la disintermediazione, ovvero il processo di scavalcamento dei corpi intermedi, come partiti e sindacati, disegna davvero un contesto caratterizzato dalla rimozione di ogni processo di mediazione o stiamo assistendo piuttosto all’emergere di nuovi mediatori?

La frammentazione delle identità collettive rende difficile per i corpi intermedi esercitare la loro funzione di filtro: i cittadini tentano di incidere direttamente nelle decisioni pubbliche, mettendo in crisi il concetto stesso di rappresentanza.

Le sfide che le democrazie contemporanee si trovano ad affrontare sono molteplici. Per governare i complessi processi dovuti alla globalizzazione e alla crescente interdipendenza su scala internazionale, gli stati nazionali hanno delegato aree strategiche di intervento (specie in ambito economico) a entità sovranazionali, come è avvenuto nell’Unione europea. Nell’attuale contesto di crisi, questo ha però limitato i margini di manovra delle élites politiche nazionali finendo con il favorirne la delegittimazione agli occhi dei cittadini. La democrazia rappresentativa, così come l’abbiamo praticata fino ad oggi, sembra subire una doppia erosione: dal basso, da parte di movimenti populisti e fenomeni che puntano su modalità più orizzontali di partecipazione; dall’altro, da parte di rivendicazione tecnocratiche di guida della cosa pubblica con il conseguente rischio di una cattura oligarchica delle istituzioni. Qual è il futuro delle democrazie? Verso quali configurazioni si stanno evolvendo?
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