L’origine dell’espressione è nota, quanto meno se crediamo a ciò che Hemingway racconta in Festa Mobile (1964): Gertrude Stein, a Parigi, aveva portato dal meccanico la sua Ford T, ma il giovane al quale era stato affidato il lavoro «forse non si era reso conto di quanto fosse importante il diritto della vettura di Miss Stein a una riparazione immediata». Stein si era lamentata e il proprietario del garage aveva rimproverato il giovane: «Siete tutti una génération perdue», gli aveva detto. Stein lo ripete a Hemingway, reduce dalla guerra e apprendista scrittore che di Stein frequenta il salotto: «Ecco che cosa siete tutti quanti. […] Tutti voi giovani che avete fatto la guerra. Siete una generazione perduta». Hemingway si mostra scettico e Stein insiste: «Non avete rispetto per niente. Vi uccidete a forza di bere. […] Siete tutti una generazione perduta, esattamente come ha detto il gestore del garage». Hemingway la sera torna a casa e intanto ricorda i suoi giorni da ambulanziere, si chiede se quel giovane sia mai stato portato su una di quelle ambulanze, pensa a come frenassero in discesa, all’egotismo di certi scrittori più anziani come Stein e alla propria disciplina nel lavoro e si domanda «chi è che chiama chi una generazione perduta?». All’improvviso si trova di fronte la statua del maresciallo Ney e, ricordando «che razza di casino aveva combinato a Waterloo», si dice «che tutte le generazioni sono perdute per una cosa o per l’altra». Proprio a Waterloo Fabrizio del Dongo – risalendo da Hemingway a Stendhal – era stato protagonista della prima compiuta rappresentazione letteraria dell’indiscernibilità degli eventi bellici per il soldato gettato sul campo di battaglia. A Waterloo, soprattutto, e nelle campagne napoleoniche dopo le guerre della Francia rivoluzionaria, le generazioni di europei che per prime avevano creduto nella possibilità di un ideale politico attuato nella storia si erano imbattute nella scoperta che la storia, se può essere orizzonte dell’ideale, può essere e più spesso sarà il luogo della sua negazione. Non diversamente, coloro che si erano affacciati alla Grande Guerra come all’ora in cui i propri ideali e il proprio sentire sarebbero divenuti storia – «Ci darà la guerra quello che molti delle nostre generazioni hanno atteso da una rivoluzione?», domandava Prezzolini sulla «Voce» il 28 agosto 1914 – conobbero invece la disillusione e la catastrofe e, tornati, non trovarono come riannodare i fili della storia interrotta. La generazione perduta non è solo quella dei demografi, che contano gli assenti – e uno è Apollinaire, morto di spagnola nel 1918, che il giorno dell’armistizio, morendo, pensa che la folla che grida à bas Guillaumece l’abbia con lui: lo racconta ancora Hemingway… La generazione perduta è anche quella di coloro che, reduci, scoprirono il danno subito nella propria umanità e l’impossibilità del ritorno alla vita civile. Così dice Paul Bäumer prima di morire sul fronte occidentale: «La guerra, come un’inondazione, ci ha spazzati via».

Lost generation
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