La democrazia ha a che fare con il futuro perché è il modo in cui si progetta una strada per migliorare la vita delle persone. Ho provato a studiare la democrazia a mio modo e, come economista, ho individuato tre approcci fondamentali attraverso cui analizzarla.
Il primo, è quello che ha a che fare con la disuguaglianza. Viviamo in un sistema che combina due principi di organizzazione contraddittori tra loro: da un lato il mercato, con il sistema di organizzazione “un euro, un voto”; dall’altro la democrazia con il sistema “una persona, un voto”. Quando non si trova un compromesso tra i due, il secondo rischia di soccombere.
A dire il vero, non sono sicuro che oggi il secondo sistema sia davvero con noi: abbiamo un grado di disuguaglianza tale che mi risulta difficile affermare che un paese come gli Stati Uniti, in cui le campagne elettorali vengono finanziate da grandi nomi del panorama finanziario, sono una democrazia totale. Se esistono fenomeni del genere, vuol dire che c’è qualcosa di sbagliato nel principio della democrazia perché non si può più ritenere valido il principio “una persona, un voto”. Piuttosto accade che certe persone hanno milioni di voti e altre ne hanno pochi. C’è una seconda questione legata alla disuguaglianza e cioè che i ricchi diventano proprietari dei media, delle università, della grandi scuole, dei think tank che influenzano il voto delle persone, semplicemente perché detengono ricchezza. Siamo nella democrazia delle “sabbie mobili”.
Il secondo approccio con cui ho studiato la democrazia mi ha portato a focalizzarmi sull’Europa. Il problema in questo caso è quello di aver concepito un sistema in cui i debiti sono sovrani mentre la moneta è senza sovrano. Ciò ha reso i paesi europei molto fragili perché non sono loro che controllano il mercato ma è il mercato che li controlla.
Prima di questo sistema tutto ciò non accadeva: ogni stato era totalmente solvente e poteva produrre moneta per rimborsare il debito mentre adesso è sottomesso ai mercato. La mancanza di federalismo e l’asimmetria tra il federalismo monetario e il confederalismo fiscale fa sì che l’Europa non sia un laboratorio di democrazia ma un peculiare sistema di stati federati che non hanno uno stato federale.
Si è così creata una frattura tra la legittimità e il potere: mentre la legittimità viene conferita da un’elezione, il potere deriva dall’insieme di regole che abbiamo concepito nel tempo e che, in seguito, offre tutti gli strumenti alle istituzioni europee. I nostri sono governanti di provincia perché non hanno più controllo sulla moneta, sui budget, sulla politica di cambio, sulla politica industriale. Questo vuol dire che la sola libertà che rimane ai cittadini è di cambiare il governo ma non di cambiare politica.
Il problema è che l’Europa non ha capito tutto questo ma è necessario che lo comprenda e che la sua politica cambi. Vedendo che la mortalità infantile in Grecia è in aumento, che la speranza di vita decresce in altri paesi europei anche perché le scelte politiche prevedono tagli alla sanità, allora mi dico che c’è qualcosa che non va, che abbiamo perso il nostro sistema di valori.
A dimostralo è il terzo tipo di approccio attraverso cui mi sono interessato al tema della democrazia: il sistema di misura. Quello che misuriamo determina quello che facciamo. Esistono numerosi parametri che non misuriamo e questo significa che non teniamo conto dell’effetto che la politica ha su di essi. Per esempio, non misuriamo il capitale umano e quindi non prendiamo abbastanza in considerazione che le politiche di austerità lo distruggono. Lo stesso discorso vale per il capitale sociale o quella ambientale. Il problema è dunque che abbiamo perso di vista la qualità, ancora prima della democrazia.
La democrazia è una meta-istituzione che deve essere capace di autoripararsi: quale strada per il futuro riusciremo a costruire se la democrazia non sarà più in grado di farlo?