I sistemi politici non sono modelli astratti adattabili a piacere a tutti i luoghi e tempi. Questo vale soprattutto per quelli democratici. Legittimati da principi ispiratori che sono generali, la loro struttura operativa e l’efficacia delle loro regole riflettono le condizioni socio-economiche e le trasformazioni tecnologiche della società.

La democrazia è tra i possibili ordini politici quello che ha più duttilità e capacità di assorbire e filtrare i mutamenti che avvengono nella sfera esterna alla politica. Come forma politica legittimata dal consenso e forma di partecipazione libera, la democrazia è la sede di una tensione mai domata tra politica politicata e politica in atto, tra decisioni e giudizi politici e opinioni che dissodano il terreno sul quale le decisioni prendono forma.

Il sistema di procedure e regole che guidano l’azione pubblica garantisce che ogni decisione possa essere rivista e che il cambiamento avvenga secondo regole del gioco giocate da attori che operano davanti all’occhio giudicante del pubblico. Lo scopo dell’intero processo è di riprodurre se stesso al meglio, ovvero rispettando il principio di eguale libertà politica dei cittadini e la regola di maggioranza come condizione affinché ciascuno esprima la propria preferenza sapendo che sarà contata in maniera assolutamente eguale a quella di tutti gli altri.

Le regole del gioco sono per questo condizionate dalla volontà politica del corpo sovrano di prestare attenzione alle esigenze e ai mutamenti sociali con lo scopo di apprestare le manutenzioni necessarie affinché la rispondenza tra cittadini e istituzioni non venga mai interrotta.

Le democrazie consolidate dei paesi occidentali, istituite e rafforzate alla fine della Seconda Guerra mondiale, sono entrate nel nuovo millennio con un carico notevole di innovazione e tuttavia alcune vulnerabilità: la debolezza del potere decisionale degli stati-nazionali in concomitanza con l’espansione del potere economico, commerciale e finanziario che atterra le frontiere e impone al sovrano politico decisioni che non sono necessariamente rispondenti alle volontà e alla preferenze dei suoi elettori; la rivoluzione tecnologica nel campo dell’informazione e della comunicazione rende obsolete le forme meccaniche tradizionali (dalla telefonia alla stampa) e quindi anche le associazioni politiche che a quelle si erano conformate (i giornali e i partiti).

Se la caduta delle frontiere di fronte al movimento libero delle merci, della valuta e delle persone costituisce una sfida formidabile al fondamento nazionale della sovranità democratica, l’immediatezza di interazione e la comunicazione diretta dei cittadini tra loro e con le istituzioni sovvertono e mettono in discussione la legittimità delle strutture rappresentative.

Nel primo caso, le regole che garantivano un benessere diffuso ai membri della comunità politica sembrano diventate non solo inette ma addirittura un ostacolo alla crescita, cosicché la promessa di sicurezza sociale sancita dalle costituzioni democratiche del dopoguerra acquista sempre di più caratteri irrealistici.

Aprire le frontiere ha significato creare mercati affluenti ma anche rendere, a tutti gli effetti, il lavoro una merce in sovrabbondanza e quindi meno pagata e non sempre associata a diritti sociali di cittadinanza. La rinascita di populismi, di ideologie xenofobiche di reazione alla globalizzazione, il successo di una narrativa politica che identifica le prerogative democratiche con il loro possesso da parte dei cittadini di una nazione, sono un segno neppure troppo timido dei problemi che l’apertura al mondo comporta per il connubio democrazia-nazione.

Sull’altro fronte, quello della rivoluzione prodotta dall’uso di Internet nella formazione e diffusione delle opinioni, è sotto gli occhi di tutti il terremoto generato dai social network che nel volgere di pochi anni si sono sostituiti al giornalismo professionale e all’organizzazione partitica. Giornalismo-fai da te e blog-non partiti ridescrivono le forme tradizionali dell’azione politica sia dentro che fuori le istituzioni.

Da un lato, ritornano in vigore le antiche forme di selezione tradizionalmente associate alla democrazia, come il sorteggio, dall’altro nascono nuove strategie di intervento che danno al giudizio dei cittadini l’impressione di essere in grado di influenzare direttamente gli eletti, come le forme sperimentali di deliberazione o le giurie popolari. La sfida della democrazia diretta alla democrazia rappresentativa si traduce nella contestazione della forma di delega libera da mandato. L’essere e la velocità sono i due paradigmi che scuotono i nostri sistemi politici.

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