A distanza di più di venti anni dal crollo del Muro di Berlino e, relativamente al nostro paese, dei partiti su cui si era articolata la dialettica politica nei primi decenni di storia democratica, l’Italia resta ancora in una fase di radicale mutazione.

Tra il 1945 e il 1992 (tra la fine del secondo conflitto mondiale e Tangentopoli) la rappresentanza e la partecipazione alla cosa pubblica sono state mediate da forze politiche (i partiti) e sociali (sindacati, associazioni, etc…), alcune delle quali molto radicate nella società. Tali formazioni sono state portatrici di interessi e rappresentative di ideologie che, pur confliggenti tra loro, cooperavano nel lavoro di filtraggio e incanalamento delle preferenze e delle istanze sociali.

Grazie alla rete di corpi intermedi che innervava il sistema politico italiano, l’opinione pubblica era rappresentativa di molti interessi e capace di esercitare una costante vigilanza sulle istituzioni e i partiti politici.

Infine, la partecipazione alla deliberazione larga sulle questioni pubbliche tramite i corpi intermedi svolgeva la funzione di preparare e reclutare personale politico e amministrativo e, specie nei primi anni della Repubblica, ha svolto anche la funzione di alfabetizzare al discorso pubblico le classi popolari. Per un insieme complesso di motivi, nazionali e internazionali, quell’assetto è entrato in crisi e si è sgretolato.

La crisi economica, con le sue ricadute sociali da un lato, e l’incapacità della politica di trovare un nuovo assetto e nuovi strumenti per favorire una partecipazione alla vita pubblica e una legittimazione ampia del proprio operato dall’altro, generano una situazione di caduta di legittimità delle istituzioni democratiche, la disaffezione dei molti dalla partecipazione politica ed elettorale.

L’Italia, per tutti questi aspetti, rappresenta una sorta di laboratorio che presenta con grande evidenza dinamiche che si stanno affermando in tutta Europa. Dalla crisi degli attori politici tradizionali alla comparsa di nuovi movimenti che veicolano una critica radicale del sistema politico, fino alla compresenza di spinte tecnocratiche e spinte populiste di varia natura.

Ovunque in Europa si assiste a una crisi di legittimazione del sistema politico, a una crisi dei partiti tradizionali che non si limita al grado di consenso che questi riescono a intercettare durante le elezioni, ma che investe il loro stesso ruolo di corpi intermedi, la loro capacità di mettere in moto partecipazione, riflessioni collettive, progettualità che abbiano il fiato lungo per affrontare le molte sfide della contemporaneità. Ovunque in Europa si assiste alla fuga nell’astensione o a un montare di fenomeni populisti e nazionalisti che, per quanto diversificati tra loro, hanno una matrice comune.

All’interno dell’Unione europea tali fenomeni sono aggravati dalla cessione di sovranità su questioni strategicamente rilevanti, come per esempio la disciplina monetaria a livello sovranazionale, con il risultato di limitare il margine di manovra delle élites politiche nazionali nelle iniziative in campo economico e sociale e favorirne la delegittimazione.

Tra le ragioni delle trasformazioni della democrazia rappresentativa vi è anche, infatti, il declino della sovranità degli stati-nazione e le forme di integrazione sovranazionale. La crescita delle diseguaglianze rende vulnerabile il sistema democratico e lo espone al pericolo di una deriva oligarchica.

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