Cameratismo

«L’addestramento formale come va fatto» – scrive Robert Graves – «è qualcosa di meraviglioso, specialmente quando la compagnia marcia all’unisono come un unico essere e ogni movimento non ha più nulla di individuale, ma è il movimento singolo di una grande creatura» (Addio a tutto questo, 1929). Per coscritti e volontari, l’addestramento era il primo momento di vita comunitaria entro la struttura gerarchica dell’esercito e generava un sentimento di solidarietà che nel passo di Graves ha i tratti dello spirito di corpo, ma che sul fronte poteva diventare «ciò che di più bello abbia prodotto la guerra»: il cameratismo (Niente di nuovo sul fronte occidentale, 1929).

Il cameratismo nasce dalla condivisione dell’esperienza del fronte: stasi e fatica delle trincee, morte e devastazione degli scontri. In quanto insorge tra uomini che hanno vissuto insieme la guerra, lega più spesso i soldati di linea, tra loro e con gli ufficiali di grado inferiore che li comandano, ed esclude gli ufficiali superiori, rimossi dalla prima linea e spesso ignari della sua realtà. Non è dunque lo spirito di corpo di cui scrive Giovanni Boine, tra gli altri, nei suoi Discorsi militari (1914): non coinvolge tutti i membri dell’esercito in quanto tali, né deriva da una scelta ideologica.

Ciò significa due cose. Da una parte, che il legame del cameratismo trascende le divisioni di classe: nelle sue Memorie di una ragazza per bene (1958), Simone de Beauvoir racconta di un suo insegnante che ricordava l’esperienza di cameratismo vissuta in guerra come felice liberazione dalle barriere sociali. Dall’altra, poiché i livelli gerarchici dell’esercito tendono a riprodurre le divisioni di classe della società, significa che esso in parte le ricalca, anche se in modo latente, in quanto normalmente unisce uomini del popolo e al più studenti, intellettuali e altre figure della piccola borghesia, ma non esponenti delle classi superiori.

Il cameratismo si presenta dunque come una forma di legame egualitario che vive sullo sfondo di una doppia struttura gerarchica, sociale e militare, e che pertanto incorpora spesso un sentimento di ribellione: quello di Paul Bäumer e dei suoi amici contro il loro istruttore Himmelstoss, durante l’addestramento, e quello che porta i soldati del plotone di esecuzione, nel capitolo XXVIII di Un anno sull’altipiano (1938), a uccidere il maggiore Melchiorri invece dei compagni condannati alla fucilazione.

Teso al suo limite, il cameratismo può comprendere il nemico – il soldato nemico che vive la stessa esperienza al di là della linea – e opporre i veterani ai civili o anche ai commilitoni mai usciti dalle retrovie. Di fronte all’assalto insensato dei soldati italiani – Lussu, di nuovo, capitolo XV –, gli austriaci smettono di sparare e cominciano a gridare «Basta! Basta!», «Non fatevi ammazzare così»: così come gli austriaci stessi non avrebbero voluto farsi ammazzare per l’ordine disumano di un ufficiale.

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